Il bambino e il gioco

“ La creatività consiste nel mantenere nel corso della vita qualcosa che appartiene all'esperienza infantile: la capacità di creare e ricreare il mondo. È l' onnipotenza del pensiero propria dell'età infantile." (Donald W.Winnicott)

Ogni bambino, per una sua motivazione intrinseca, gioca: in maniera solitaria, da piccolo, per arrivare intorno ai tre anni al gioco parallelo e circa a 4 anni al gioco di gruppo. Attraverso i giochi di gruppo i bambini apprendono regole sociali, attraverso il “fare finta” sviluppano la teoria della mente: riuscire ad attribuire stati mentali agli altri. Il gioco di fantasia sembra riflettere lo sviluppo del pensiero di tipo simbolico: i giocattoli diventano significanti che evocano un significato.

Molto formativi per il bambino sono i giochi di tipo manuale: attraverso questi il bambino può sviluppare aspetti psicomotori importanti. Impara anche a interagire con il mondo esterno, a intervenire su di esso attraverso la propria attività ludica, a gestire anche la frustrazione. Pensiamo all’atto di comporre un puzzle: sembra un’attività molto banale, ma i bambini di oggi si stanno lentamente disabituando alla manualità in favore di una tecnologia che invade la quotidianità, prediligendo farsi catturare dalla televisione e dai videogiochi. Per comporre un puzzle occorrono innanzitutto una buona gestione della frustrazione, abilità oculo-manuali tanto più sviluppate quanto più i pezzi da comporre sono piccoli e un’attenzione selettiva in grado di dedicare risorse alla parte da osservare. Anche nella letteratura scientifica sull’argomento si trovano evidenze di come comporre puzzle abitualmente migliori le abilità spaziali in età prescolare (Levine, Ratliff, Cannon, 2012).

Da psicologa che si occupa di attenzione mi vengono spontanee alcune riflessioni: perché preferire il gioco manuale al videogioco? Il videogioco certamente è divertente per i nostri bambini, è colorato, coinvolgente e soddisfa il bisogno di “novità” insito nell’essere umano. Diventa però preoccupante, a mio avviso, quando sottrae tempo al gioco manuale e alla vita reale; una cosa che pochi sanno è che noi tutti abbiamo fisiologicamente due tipi di attenzione, una “volontaria”, che dobbiamo impiegare consapevolmente e un’altra di tipo più “automatico”, che è “catturata” da stimoli esterni. Il videogioco attrae l’attenzione del nostro bambino, che diventa un passivo esecutore di una realtà virtuale, dalla quale non riesce a staccarsi autonomamente.

Ovviamente ben venga il videogioco, se vissuto con moderazione e con regole imposte dal genitore!

Spesso si pensa che l’attività ludica per il bambino sia una perdita di tempo, ma giocare è un vero e proprio lavoro, utile per il benessere del bambino e per il proprio sviluppo psico-fisico.

D.ssa Eleonora Ardu - psicologa psicoterapeuta
psicologiaebambini.it

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